| Il giro di perlustrazione si rivelò una vera e propria perdita di tempo. Il quartiere in cui viveva Ethan pareva un rifugio sicuro per i vip che vi abitavano. E' ciò per cui pagano, dopotutto. Discrezione, riconobbe Akira, annoiato. Potrei comprarmi un appartamento qui, pensò all'improvviso. I soldi non gli mancavano, e gli avrebbe fatto comodo. - Comincio a essere stanco degli alberghi. - borbottò. Distrattamente, notò un uomo incappucciato che con un binoccolo spiava il palazzo in cui abitava, fra gli altri, anche Ethan. Akira, poco interessato, si limitò a registrare meccanicamente l'informazione. Può essere tutto e niente.
Irritato, pensò a come presentarsi a Ethan. Suonare il campanello senza un vero motivo poteva insospettirlo, e lui d'altro canto non avrebbe avuto alcun motivo di far entrare uno sconosciuto. Akira si arrovelò senza successo per qualche minuto, frustrato. Non ho motivo di essere qui. Tanto vale girare i tacchi e tornare a casa e dire a Chesterfield che comunque vada può pensarci Coraline, rifletté, poco convinto. Oppure potrei
- Papà! - gridò contenta una voce di bambina. Akira sussultò, raggelato. Si girò di scatto. - E-Emilie! - balbettò. Cosa diamine ci fa qua! - Ti ho trovato! - esclamò con un gran sorriso. Gli corse incontro e lo abbracciò forte. Akira si irrigidì, trattenendo il respiro. La figlia lo metteva in agitazione. La bambina indossava un abito nero, vecchio stile, tutto pizzo e merletti. Akira detestava quello stile gotico, faceva sembrare Emilie più inquietante di quanto già non fosse. E lo era davvero: con quei capelli neri e lucenti e la pelle di porcellana sembrava davvero una bambola. Quando Emilie rialzò lo sguardo, gli occhi di due diversi colori gli ricordarono delle biglie di vetro colorate. Solo suggestione, si ripeté. L'impressione passò. Era solo una bambina, e adorava Akira, padre troppo, troppo assente. - Cosa ci fai qui? - chiese. - La mamma ha detto che potevo stare con te, oggi! - disse. Edea sapeva che stavo venendo qui?, pensò Akira. Ma certo, deve avere toccato la busta di Chesterfield - Ma io devo lavorare, oggi-, obbiettò Akira. - Non possiamo fare un altro giorno? - tentò comunque. - No! Mamma dice che se non suono io quel campanello tu non lo farai mai. - spiegò Emilie. Quale campanello? - Non capisco cosa vuoi dire, ma questo non è il posto adatto per una bambina. - disse Akira, assumendo un tono paternalistico, sperando di convincere Emilie. Ma lei non volle sentir ragioni. Lo prese per mano e praticamente se lo trascinò dentro il palazzo di Ethan, chiamando l'ascensore. Akira si arrese. - Fai come vuoi, oggi sono tutto tuo. - concesse, arrabbiato. Questa me la paga, promise. Al quattordicesimo piano, Emilie e Akira si diressero all'appartamento di Ethan. Davanti alla porta, c'erano due persone che Akira non conosceva. - Permesso! - trillò la bambina, facendosi spazio fra i due e suonando il campanello. - Emilie! - la rimproverò Akira. - Scusate mia figlia - dovette dire ai due alla porta, imbarazzato e rosso come un peperone. Odio. La. Mia. Vita.
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