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| De anima, de corde (trad. "Circa la mente, circa il cuore")
di Federico PersiaIntrduzione Si dice che ogni uomo abbia un proprio posto, a questo mondo. Che questo posto sia stato scelto dal Fato, dal Caso, da un Dio. O chi per loro. Che questa situazione è immutabile.
Questo mondo è un alternarsi di alture e vallate. All'uomo non è permesso il privilegio di vedere il mondo da quelle alture. Di poter ammirare la completezza del posto in cui è condannato a soffrire, a perseguire una strada che irrimediabilmente lo condurrà alla disfatta morale e fisica, finché la fatal quiete non lo colpirà. Non è permesso all'uomo di vedere la bellezza del loco in cui nacque.
L'uomo è fatto per le vallate. Per rimanere nella bassezza di questo mondo. Per costruire villaggi, coltivare, senza chiedere. Senza domandare. Stare nella vallata e buttare al vento quelle giornate.
Molti, tutti coltivano semplicemente l'orto, ringraziando l'altura a destra per l'ombra e quella a sinistra per il sole. Ma alcuni uomini non sono fatti così. Li chiamano sognatori, romantici, letterati... sciocchi. Uomini che non fanno altro che tormentarsi, chiedendosi: cosa c'è dietro quell'altura? Cosa c'è intorno a questo misero villaggio? Com'è il mondo visto da laggiù? Vale la pena soffrire in attesa di quel giorno in cui la mia mente si spegnerà lasciando questo corpo pesante alla finestra?
E allora alzano la testa, allungano il collo, spingono più in là lo sguardo. Ma l'altura è troppo imponente. Ma l'altura è troppo ingombrante. L'altura è l'unica cosa che vedranno nella loro vita. E allora alzano gli occhi al cielo, bestemmiano, piangono. E ricominciano ad alzare il collo. Fino a quando perdono il senno, perdono il punto della questione. Perdono le ambizioni, e si lasciano corrodere dalla sfida. Una sfida contro sé stessi. E sopra la testa hanno un tetto? Non gli fa paura. Continuano ad allungare il collo, anche sbattendo la testa contro il tetto. E ancora. E ancora. "Vediamo se si rompe prima il tetto o la mia testa", pensano. Perseguendo una strada che li porterà solo all'infelicità più completa. Perché lo sanno che si romperà prima la loro testa.
E poi si girano, e vedono il contadino che a fatica ara il proprio campo. "Eppure lui è felice... sono forse io a sbagliarmi? Sono forse io che non mi accontento, che non mi basta la pace di questo villaggio?" E i dubbi lo tormentano ancor più dell'insoddisfazione.
E non v'è via d'uscita.
Si dice che ogni uomo abbia un proprio posto, a questo mondo. Che questo posto sia stato scelto dal Fato, dal Caso, da un Dio. O chi per loro. Che questa situazione è immutabile. Ed è vero. Ma nulla ci vieta di continuare ad allungare il collo, in attesa di un domani migliore che non verrà. PREMESSA: qui posterò solo ed unicamente questa introduzione, che raccoglie in breve le riflessioni contenute nel resto del libro, se così vogliamo chiamarlo. Non penso che finirò mai la stesura di esso, ma se così fosse mi piacerebbe proporlo per un'eventuale pubblicazione. Se così dovesse essere, la presenza di materiale sul web sarebbe compromettente. Spero possiate ugualmente dirmi cosa ne pensate. Saluti e buon Natale.
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