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Neve - 5° Contest di Scrittura

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view post Posted on 16/12/2013, 23:28
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Neve




Il freddo ormai le stava intorpidendo le dita delle mani che tentava in vano di scaldare soffiandoci su, come in una capanna di fortuna creata attorno alla bocca livida dal gelo.
Gli occhi azzurri e vivaci come un cielo limpido, osservavano l’esatto opposto di sé stessi: la città era cupa e tutti i colori erano smorzati dalla neve caduta in precedenza che si era raccolta ai lati delle strade ghiacciate e sui tetti delle abitazioni circostanti.
Miria era uscita dal cantuccio della sua casa e si era allontanata dal suo accogliente e scoppiettante caminetto... perché? Perché aveva finito le uova.
"Avrei potuto benissimo farne a meno" pensò in un balbettio mentale dandosi della stupida, si era alzato un vento artico che le era entrato fin dentro le ossa per scuoterle come tante piccole maracas. Si strinse nel suo cappotto imbottito e alzò il cappuccio per coprire i delicati capelli dorati, tentando di non battere i denti.
"Il supermarket è a due passi, tranquilla. Una volta giunta lì ti riscalderai." annuì all'incoraggiamento fatto a sé stessa e camminò più velocemente, rigida come uno spaventapasseri.
In effetti il supermercato non era molto lontano da casa sua, ma passava per un piccolo parco dove di solito era riempito dalle frizzanti risate dei bambini che scorrazzavano in giro tra le altalene e gli scivoli sull'erba morbida minuziosamente tagliata. Ora che camminava in quel posto, tenendosi il cappotto stretto, quasi non riconosceva quel luogo. Sembrava un posto dimenticato da Dio: l'erba era incolta e ricoperta da un sottile strato di ghiaccio misto a fanghiglia; le altalene ondeggiavano producendo dei cigolii sinistri e le panchine dove di solito sedevano i genitori di quei bambini così allegri, che parlottavano tra loro ma rivolgevano sempre un occhio di preoccupazione ai loro figli, erano vuote e silenziose. Il tutto sembrava ricoperto da una patina opaca e ovattata.
Per questo, quando sentì il pungente tossicchiare di qualcuno, il cuore quasi le schizzò dritto in gola per poi fare bungee-jumping su e giù per la cassa toracica. Si guardò attorno più pallida di prima - se possibile - con gli occhi spalancati dal terrore.
Finalmente il suo sguardo era stato attirato dalla creatura che si era raggomitolata a terra scattando ad ogni colpo di tosse. Un uomo? Sembrava un uomo, almeno apparentemente dato che era ricoperto di erba intrisa di fango e ghiaccio.
La prima cosa a cui pensò fu: scappare.
E non avrebbe fatto una piega, sarebbe corsa a casa di filato "e chissenefrega delle uova", se non fosse stato per lo sguardo dell'uomo che le aveva rivolto.
Aveva alzato il viso cinereo, due occhi grigi come il cielo di quel giorno le si erano riversati addosso facendo agitare la crocerossina che era in lei. Subito si precipitò lanciando la borsa in qualche punto impreciso del terriccio gelido prendendo le mani livide del tizio che per quanto le riguardava poteva anche essere un serial killer psicopatico fuggito da Alcatraz, ma non aveva la minima intenzione di lasciarlo morire lì.
Il calore, seppur minimo, delle mani di Miria sembrò risvegliare l'uomo, che tentò di rialzarsi a fatica.
« Stia fermo, la prego. » tentò di mantenere tutto il contegno possibile e non mettersi a frignare, dopotutto era lui ad aver bisogno di aiuto. « Ora chiamo un'ambulanza e... - »
Non riuscì a finire la frase che lo pseudo-serial killer psicopatico aveva spalancato gli occhi ferrigni e si era aggrappato con una forza a dir poco spaventosa - e Miria era spaventata eccome - al cappotto della ragazza.
« No... niente... ambulanza... » detto questo cercò di rialzarsi a fatica e, incurante delle proteste di Miria, si mise in piedi con uno sbuffo di fatica.
« Non credo lei debba sforzarti così tanto. » borbottò dubbiosa, cercando di reggere quella mole di muscoli che si era trovata di fronte, era alto qualche decina di centimetri più di lei e nonostante fosse pallido come un cadavere, non lo faceva sembrare per niente meno indifeso. Agitò la testa spazzandosi via la neve dai capelli corvini e lo sentì vibrare come un diapason in risposta al tremore dovuto al freddo.
« Dobbiamo fare qualcosa o andrà in ipotermia. » disse più a sé stessa che all'uomo dalla barba incolta che si guardava attorno più che prestare attenzione a lei.
« Non vado in ospedale. » ripeté nuovamente lui, tornando a fissare la ragazza che dall'alto del suo sguardo sembrava così minuta, un pulcino.
« Vorrà dire che morirà congelato. » replicò la ragazza, osservandolo torva, di certo quelle ferite non se l'era fatte per caso, delle grosse strisce di sangue rappreso spuntavano fuori dalla maglietta lacerata. Gli offrì il suo cappotto a malincuore, pentendosene immediatamente ma non poteva fare a meno di prestargli soccorso, per quanto lei potesse fare qualcosa.
« Probabile. » commentò riprendendo un po' di colore in quell'abito striminzito.
La ragazza imprecò e tirò la mano che aveva preso in custodia, avviandosi fuori dal parco.
« Dove stiamo andando? » chiese preoccupato lui, non opponendo però, alcuna resistenza. Se l'avesse fatto era sicura che non si sarebbero schiodati da quel posto nemmeno con una gru.
« Dove vuole che vada. Casa mia è qui vicino, lei non vuole andare in ospedale e io non voglio qualcuno sulla coscienza dieci giorni prima di Natale. » mugugnò in modo esageratamente lamentoso. Stava portando a casa sua un probabile serial killer psicopatico.
Non sentì proteste dalla mole di muscoli parlante ed era meglio così, il suo umore era davvero nero in quel momento.
Per fortuna lei viveva in un appartamento situato in un condominio piuttosto grande, se l'avessero sentita urlare probabilmente sarebbe morta prima di qualche aiuto utile, ma almeno lo avrebbero colto in flagrante.
Girò la chiave nella toppa con l'eleganza di uno struzzo col morbo di Parkinson ed entrarono subito accolti da un profumo dolciastro e dal tepore casalingo.
Chiuse la porta dietro di sé rabbrividendo e lanciò le chiavi nel piattino di vetro - che produssero un forte tintinnio - facendo segno al giovane di accomodarsi di fronte al camino di mattoni dove il fuoco stava lentamente morendo, lasciato in balia dell'incuranza.
Buttò qualche ciocco sui tizzoni ardenti che subito si rinvigorirono lanciando una fiammata vivace.
Solo allora sembrò davvero notare il volto del tizio che si era seduto obbediente tendendo le mani verso il calore del fuoco, più che un uomo sembrava un ragazzo molto alto, forse aveva la sua età all'incirca, forse era più grande, la barba che gli cresceva quasi timidamente sulle guance pallide sembrava renderlo più maturo.
« Chi ti ha lasciato lì a terra in quello stato? » chiese la ragazza, allontanandosi per accendere i fornelli e fare un po' di cioccolata calda. Passare a dargli del tu era il minimo, dopo quello che aveva fatto.
In risposta, il giovane alzò le spalle con uno sguardo vitreo. « Non ricordo. »
La fiammella blu guizzò vivace sotto il pentolino mentre la ragazza mischiava col mestolo l'intruglio in polvere marroncina con il latte. « Da quanto tempo eri lì? »
« Non ricordo. »
« Dove abiti? »
« Non lo so. » rispose prontamente, senza esitazione.
Miria fermò a mezz'aria il mestolo che aveva decisamente un'aria minacciosa, puntata verso il ragazzo che stava a pochi metri da lei. « Come ti chiami, almeno il tuo nome lo sai? »
« No. » continuò, con leggerezza, quasi gli avesse chiesto se il caffè lo prendeva con lo zucchero.

Spense la fiammella che senza il gas svanì nel nulla. Afferrò il pentolino portandolo sul tavolo, versò il contenuto in due tazze, una la porse a lui e... si inginocchiò su i talloni disperata, coprendosi le mani con le braccia esili. « Lo sapevo che eri un maledetto psicopatico! Quante persone hai ucciso prima che qualcuno ti pestasse, eh? Quante vecchiette hai scippato? Quanti gattini hai preso a calci? Uh... mia madre mi diceva sempre di non fidarmi di nessuno e ora guardami, ho persino offerto della cioccolata calda ad un tizio che potrebbe benissimo essere colui che mi ammazzerà, sono troppo giovane per morire, ho ancora quello schifoso maglione che avevo iniziato due anni fa ma sono troppo pigra per finirlo... uh Dio, che cosa ho fatto di male... »
Il ragazzo la fissò con uno sguardo perplesso, reggendo la tazza di cioccolata bollente tra le mani. Non aveva capito una sola parola di quello che aveva detto, ma l'unico psicopatico in quella stanza di certo non era lui. « Senti, non so cosa ti sia messa in testa ma di certo non prendo a calci i gattini o scippo vecchiette... »
« Ah! Però hai ucciso qualcuno, vero? » la ragazza gli puntò il dito contro come fosse un coltello affilato.
« No, nemmeno un pesce rosso. »
« Sul serio? Non mi stai mentendo, vero? »
« Giuro sui gattini e le vecchiette. »
Miria tirò su col naso e si mise in piedi distendendo le labbra in un tenue sorriso. « Scusami, a volte penso a catastrofi improponibili e disastri inimmaginabili. »
« Ma non mi dire. » la derise sarcastico, sorridendo anche lui.
« In realtà c'è un motivo. » iniziò attraversando la stanza fino ad arrivare vicino al ragazzo, posando una mano con delicatezza su una delle cornici poste sulla mensola del caminetto.
« Mia madre era molto protettiva, mio fratello aveva solo 10 anni quando è... » le parole le morirono in gola guardando la foto dei due bambini stretti in un abbraccio caloroso, lei, sorridente e radiosa e lui, con quei deliziosi capelli svolazzanti cupi come la notte, entrambi felici. « Di solito mi faceva sempre un regalo prima di Natale, diceva che non poteva aspettare per vedere la mia reazione. È una cosa stupida, lo so, ma ho sempre amato quei regali inaspettati. »
« Mi dispiace. » disse con delicatezza il ragazzo, alzando gli occhi verso la foto con uno sguardo dubbioso.
Miria scosse la testa cercando di evitare le lacrime. « È passato così tanto tempo, non dovrebbe più turbarmi così tanto parlarne. »
Il giovane le posò una mano sulla spalla per confortarla. « La perdita di una persona cara non svanisce col tempo, si rafforza, ma sta a te trasformare questa agonia in piacevoli ricordi che rimarranno per sempre impressi nella tua mente. Sono sicura che lui starà bene ovunque sia e ti osservi. »
Miria si voltò regalandogli di nuovo quel flebile sorriso di prima, stringendo la cornice a sé e abbracciando il ragazzo. Non sapeva perché, ma ormai riponeva in lui una fiducia totale, nonostante il contrasto abissale dei pensieri che aveva avuto pochi minuti prima, nonostante lui fosse un completo estraneo e non ricordasse nulla. Sapeva che non le sarebbe accaduto niente quel giorno, in quel preciso momento, coccolata dal tepore del camino e dalle sue braccia forti e affettuose.

« Sei forte, Miria. Sono sicuro che continuerai a cavartela come hai sempre fatto. »
Miria si allontanò, tirando nuovamente in su col naso, doveva essere un disastro ma non se ne preoccupò. Il ragazzo le si avvicinò accostando le labbra alla sua guancia in un bacio affettuoso, lasciò il cappotto della giovane sulla sedia e si avviò verso l'uscita.
« Aspetta, come fai a sapere come mi chiamo? » chiese incerta, aveva per caso notato il nome sulla porta, quando erano entrati?
« Questa posso tenerla, vero? » rispose, volgendogli un sorriso enigmatico e alzando la tazza.
Miria annuì istintivamente, poi lo guardò dubbiosa. « Dove hai intenzione di andare se non ricordi nemmeno il tuo nome. »
« Mi inventerò qualcosa. Grazie di tutto. » le fece l'occhiolino e scomparve oltre la porta, col rumore secco della serratura che scattava.

La ragazza sospirò abbassando lo sguardo verso il bambino dai delicati lineamenti fanciulleschi, i capelli scuri incorniciavano due occhi grandi e chiari.
Due occhi grigi.
Miria sussultò nell'osservare meglio quella figura, alzò lo sguardo verso la porta ormai chiusa, una sensazione strana le attanagliava il petto. Non poteva essere lui. Adam era morto dodici anni fa.
Ma i piedi le si mossero ugualmente con una forza che non sapeva di avere. Spalancò la porta dimenticandosi il cappotto, non preoccupandosi quando fuori dall'edificio trovò ad aspettarla un vento che la fece irrigidire dal freddo. Non si preoccupò di guardare le macchine che sfrecciavano mentre attraversava la strada alla ricerca di lui, possibile che fosse già scomparso?
La neve aveva iniziato a scendere docile, posandosi sul viso della ragazza che correva a perdifiato verso l'unico luogo dove poteva sperare di raggiungerlo. Entrò in quel piccolo parco ghiacciato e fu lì che lo vide, il ragazzo moro dagli occhi grigi che guardava verso l'alto, osservando la neve che cadeva silenziosa e indolente.
« Adam! » urlò Miria, inchiodata in quella posizione, sperando di attirare la sua attenzione.
Lui si voltò scontrando lo sguardo con gli occhi lucidi della ragazza, il suo sorriso fu mesto mentre alzava le spalle come a scusarsi.

« Buon Natale, Miria. Non potevo aspettare. »

La neve si fece fitta mentre quegli occhi grigi, pieni di felicità e ricordi, le scaldarono il cuore.
« Sei un idiota. » mugugnò mentre le calde lacrime si raffreddarono lungo le guance, cadendo sulla neve soffice come piccoli cristalli.
« E tu sei una frignona, come sempre. » replicò con quel sorriso che oltre all'essere divertito sembrava anche un po' colpevole, come se quei pochi attimi passati assieme sarebbero stati migliori se le avesse confessato chi era.
La ragazza scosse la testa asciugandosi le lacrime rapprese sul volto. « Ti voglio bene, Adam. »
« Anch'io ti voglio bene, Miria. » ma la risposta le giunse come un sussurro soffiato all'orecchio, perché un vento inaspettato si alzò, costringendola a coprirsi con le braccia, quando le abbassò non c'era traccia del fratello, il parco tornò ad essere disabitato.

Cadde sull’erba candida, in ginocchio ad osservare i piccoli fiocchi di neve turbinare attorno al vento rigido.
Miria guardò all'insù, verso il cielo grigio ricoperto di nuvole, e rise. Una risata divertita e spensierata, una risata che durò un'infinità perché quel giorno era davvero felice come non lo era da dodici anni.
Da quel giorno si ripromise di visitare ogni anno quel parco, quando la neve sarebbe caduta sulla città.
Come una promessa fatta in tacito accordo, come un regalo impossibile da poter fare, eppure reale.
 
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